Il nome di Nico Vascellari viene ormai citato come esempio d’artista italiano che si è imposto sul panorama internazionale.
Lo ha fatto in virtù di un approccio multidisciplinare che ha preso le mosse dal retroterra DIY per poi deflagrare a dovere tra performance art, suoni variegati e deragliamenti dello scibile creativo.
In terra nostrana, si ricorda la sua partecipazione al fiume carsico di matrice HC con i With Love, lo spazio d'eccezione Codalunga e l'innamoramento di Marina Abramovic.
Ma serve a poco, senza l'esperienza diretta.
Segue l'intervista, realizzata oltre sei anni or sono.
Toccherà ritornare, aggiornare e scomodare.
L’impressione è che il tuo lavoro si apra a interpretazioni piuttosto utili per allargare il bacino di chi ti segue dall’Italia all’estero (meglio: s’aprirebbe se chi s’interroga e s’ossessiona di musica si dedicasse anche al mondo delle gallerie, al video, la performance, etc), ma le radici HC fanno sì che i tuoi lavori strettamente musicali rimangano in parte relegati all’Italia (o vengano assorbiti dalle frange più curiose all’estero; vedi Stephen O’Malley, Wiese). È un’impressione personale, una sensazione aprioristica da commentatori fuori dalle scene o semplicemente qualcosa di cui non ti curi?
Sono diversi anni che non mi dedico con continuità e concentrazione ad un progetto esclusivamente musicale. Dopo With Love, il cui ultimo album è stato pubblicato da GSL dopo numerosi tour in Europa/Giappone/Stati Uniti, direi che ci sono stati solo i Ninos Du Brasil che sebbene esistano come idea da diversi anni si sono concretizzati solo nell'ultimo anno e Bus De La Lum, le cui sporadiche registrazioni sono fino ad ora state pubblicate sempre da Hospital Productions. Dopo lo scioglimento di With Love sono stato più interessato nell'utilizzo del suono nelle mie sculture e performance cosa che ha portato a collaborazioni, alcuni delle quali durature, raramente documentate da pubblicazioni fonografiche disponbili al pubblico, con artisti come John Duncan, Ghedalia Tazartes e Prurient oltre ai tuoi citati. Capisco che la tua impressione non sia personale ma piuttosto generale ma sta di fatto che negli ultimi anni le uniche interviste alle quali risposto in ambito musicale arrivavano dall'estero. Anche per questo la mia percezione è diversa. Lago Morto per esempio è un progetto che nasce in risposta ad una commissione della Kunsthaus di Graz. Riprendendo la tua domanda, le radici HC delle quali parli sono per me più strettamente legate al DIY piuttosto che ad una sonorità.
La domanda precedente nasce soprattutto da una curiosità: ti chiedi mai secondo quali modalità gli altri t’immaginano?
Aggettivarmi non è mai stata mia specialità o interesse. Il mio lavoro è una domanda che pongo a me stesso e, da pessimo studente quale sono sempre stato, non mi preoccupo di dare una risposta. Non mi sento cambiato in nessun modo e sono per tanto esterefatto da quanto lo siano i miei rapporti personali. Così esterefatto dal chiedermi se effettivamente non sia io ad essere cambiato. La risposta per ora è sempre no.
Cosa pensi sia cambiato e quali sono i passi da compiere per cambiare, migliorare e rendere più vitale quanto un tempo si definiva industria culturale?
Industria culturale mi è sempre parsa una contraddizione in termini. Penso che se è davvero la cultura che vogliamo migliorare dovremmo cominciare a non ragionare in termini industriali e di numeri o 'mi piacè. Cosa non facile se prendo in considerazione per esempio anche uno spazio come Codalunga che raramente nel corso degli anni è riuscito a pareggiare i propri conti. Penso che l'umanità non vada mai di pari passo con la cultura e non sono certo la cultura debba rallentare il proprio andamento. È nella sua velocità la possibilità di non rimanere schiacciata.
E se davvero le nicchie e la superficie hanno preso a guardarsi da vicino, quali i vantaggi e gli svantaggi? Si può arrivare a risultati interessanti e diversi oppure si rischiano ulteriori spersonalizzazioni, estetizzazioni e simili?
Io amo il dugongo. Potessi vorrei vedere coppie di dugongo nuotare armoniose in acque limpide tutti i giorni al risveglio. Magari anche immergermi con loro e farli mangiare foglie larghe e verdi direttamente dalle mie mani. Purtroppo il dugongo più libero che ho visto in vita mia era all'acquario di Genova. Era comunque stupendo ma é davvero un dugongo?
Rimanendo sul versante “scena”, mi ha sempre impressionato quanto l’appartenenza o meno si viva quasi esclusivamente nella messa in comune di elementi simili e non piuttosto nel fare comunità delle differenze. Venendo da una cultura e da frequentazioni punk/hc (la faccio facile) ti sei mai ritrovato a domandarti il senso di quel ritrovarsi?
Non parlo più di scena da anni in verità. Quando mi sono avvicinato alla realtà dei concerti nei garage e negli squat, delle fanzine, dei 7" a 5000 lire, dei saccoapelo e degli spezzatini di soja l'ho fatto come forma di distacco piuttosto che di appartenenza. Ricordo discussioni di ore sull'idea di uniforme etica ed estetica che la 'scena' più volte sembrava imporre ancor prima di accettare. In gruppo ogni animale tende a fare branco. Fortunatamente c'è poi sempre quel qualcuno che si inventa la pecora nera fuori dal passo rinnovando i presupposti per i quali il branco si è formato. Nel tempo ho avuto il sorprendente piacere di ritrovare alcune di quelle persone della scena. Molto di quello che faccio nasce da un'interpretazione forse sbagliata dall'idea che il punk/HC (la faccio facile anche io) fossero più di musica. Mi piace sapere che non sono l'unico ad aver capito male la questione.
Credi che la critica e a volte il pubblico possa mancare nei tuoi confronti, così come nei confronti di qualsiasi altro artista?
Cerco di non seguire la critica se non quella esposta personalmente. Sarebbe troppo faticoso e dispersivo. I blog attualmente hanno per ovvie ragioni di costi, spazio e gestione la possibilità di essere più rapidi e completi delle riviste. Purtroppo sono invasi dai quasi sempre superficiali, banali, idioti e inutili commentatori anonimi quanto i loro scritti. Penso sia lecito pensare stia anche in questo il motivo per il quale nascono sempre più mirati e intelligenti progetti editoriali cartacei indipendenti. In fin dei conti perché lasciar insudiciare il proprio lavoro da chi non riesce a farne uno suo?
Come ti piacerebbe la tua biografia fosse presentata a qualcuno che non ti conosce minimamente? E quali pensi siano le differenza fondamentali tra il tuo percorso artistico e quello musicale, e c’è una sorta di smarrimento in questo, una separazione?
Vorrei fosse sempre il mio lavoro a completare ciò che le sole note biografiche non possono spiegare. Credo la differenza sostanziale tra il mio percorso artistico e musicale stia nel fatto che il primo è anche il mio lavoro e non entra mai nel secondo. I risultati li sto indagando in questo momento. Non faccio una performance in Italia ormai da diversi anni proprio per questa ragione. Sono sempre stato interessato all'idea di disagio. Il mio per primo. Quando ho chiesto a With Love di prendere parte a Glitter Secondario e Nodo Terziario l'ho fatto consapevole del fatto che questo avrebbe modificato le dinamiche interne al gruppo e anche la percezione di come il pubblico guardava a noi. Chi voleva vedere una performance vedeva un concerto. Chi voleva vedere un concerto vedeva una performance. Io vedevo il mio lavoro.
Vivi a Vittorio Veneto: come ci vivi, come la vivi, quanto la necessità di vivere quel territorio rimanda al tuo lavoro e approccio? Pensi poi che in questo ci sia anche il bisogno di pensare fuori dai circuiti abituali, essere metaforicamente fuori luogo?
Ho da sempre grossi problemi di concentrazione. Ritornare a Vittorio Veneto in questa momento è stata una necessità maturata dopo periodi di residenza a Rotterdam e New York legata anche a questo. Non posso certo dire di starci bene. La maggior parte dei miei amici o delle persone con le quali mi piace confrontarmi stanno a centinaia o migliaia di chilometri tanto per fare un esempio ma è pur vero che io non ho scelto un lavoro e in Italia credo valga la pena di vivere in città solo se è il tuo mestiere ad imporlo. O l'amore. Per il resto Vittorio Veneto credo sia la periferia di qualunque altra città tanto quanto lo sono Milano, Parigi o Londra. È forse solo più facile accorgersene da qui piuttosto che da lì. Se guardi dalla luce al buio è molto difficile tu possa vedere qualcosa.
Quanto la noia, la voglia irrequieta di un qualcosa che non trovi, il caso e l’errore hanno influito nella tua vita e sul tuo lavoro?
Ho sempre riconosciuto nella noia, nell'alienazione e nella solitudine le origini di quello che faccio. Non necessariamente il pensiero è in antitesi sopratutto quando in un luogo che induce noia, alienazione e solitudine hai deciso di viverci. Voglio essere ottimista, non esisterà mai una mia pratica più pacificata per quanto mi riguarda. Non sto cercando la pace, per questo credo siano evidenti metodo e ragionamento in quanto faccio. Da bambino camminavo dritto nei corridoi delle elementari andando a sbattere contro le persone ripentendo ad alta voce 'niente mi fermerà niente mi fermerà niente mi fermerà'. L'arte è vitale e necessaria.
Ad oggi, cosa ti rimane del progetto Lago Morto?
Percepisco ora Lago Morto come un evoluzione di Nico & The Vascellaris. Non è però così che il progetto è nato. Si trattava del risultato di un analisi sommaria sotto forma di diagramma su un gran foglio di carta dell'industria dell'intrattenimento e delle sue modalità operative. Partivo ovviamente dal presupposto che nulla viene fatto per emancipare l'individuo ma piuttosto per soggiogarlo. In questo senso credo lavorare sul territorio possa solamente migliorare la situazione ma il prezzo che deve pagare chi si adopera a questo cambiamento è spesso troppo alto. Sopratutto a livello umano. Tornando a Lago Morto quello che rimane è un'esperienza indimenticabile andato ben al di la della mia capacità immaginifica. Ciò che è rimasto umanamente può essere riassunto nel poster che è ancora esposto nella Pizzeria al metro 'Al Crostino'. Non sono certo abbia senso tentare di ripeterla altrove. Ha funzionato anche perché è un progetto che ha fatto dell'imprevedibilità e spontaneità la propria forza.
Ninos du Brasil: da dove è nato il progetto, quali motivi stanno alle sue spalle?
Ninos Du Brasil nasce come uno scherzo. Parlavo con Nicolò in furgone durante un tour dei With Love. Solo in tempi più recenti ci è parso che ripetere per un'ora 'nos somos ninos du brasil, somos ninos brasil' fosse ancora uno scherzo molto divertente e affatto stupido. Non è certo possibile scindere Ninos Du Brasil dalla mia pratica performativa ma non è negli abiti o trucchi di scena che si possono riconoscere le analogie. Trovo più interessante tentare un paragone con With Love che, non ho mai negato, sono stati fondamentali per la mia evoluzione artistica. C'è stato un momento in cui avevo proposto ai With Love di lavorare ad un disco abbandonando gli strumenti a corde per concentrarsi solo su voce e batteria. Forse è lecito pensare Ninos Du Brasil parta da qui. Di fatto alle canzoni di Muito N.D.B. abbiamo lavorato partendo da ritmi e percussioni sovrapposte durante lunghe e diverse sessioni. Nascendo in maniera totalmente spontanea e senza alcuna pretesa è seguendo queste coordinate che evolviamo le idee delle nostre presentazioni. Lavorando sotto mentite spoglie non è pero nostro interesse svelare ambizioni e obiettivi di che ci siamo prefissati come Ninos Du Brasil.
©Daniele Ferriero